I 10 migliori film horror del 2017 | Rolling Stone Italia
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I 10 migliori film horror del 2017

Tra sala, home video e Netflix, ovviamente, l’horror ci ha regalato tante belle sorprese, in mezzo a (troppe) opere mediocri.

I 10 migliori film horror del 2017

Horror, croce e delizia. E’ uno dei generi più fertili, creativi, sperimentali che abbiamo, ma anche il luogo in cui tanti, troppi registi scarsi e produttori avventurieri mettono le mani per guadagni facili. Ne escono tanti, ogni anno, per ogni gusto, pubblico e appassionato: i sottogeneri del cinema che ci terrorizza vengono vampirizzati e spesso ci troviamo di fronte a copie sfacciate di classici, a autori citazionisti oltre il sopportabile, a opere incredibilmente sciatte. Però.

Però quando trovi il cult, il gioiello, c’è da godere parecchio. Ecco perché qui non siamo andati a tirar fuori gli Alien: Covenant, i The Ring 3, quei titoli bancomat tanto deludenti quanto noti e redditizi. Abbiamo deciso di proporvi il meglio di quello che è uscito e che potete recuperare: ecco perché a malincuore non ci sono gioielli come Mayhem, un trattato sulla nostra ferocia insaziabile e selvaggia in uno dei templi del capitalismo attuale, di cui qui in Italia per ora abbiamo visto solo un trailer.

The Devil’s Candy

Sean Byrne conferma quanto di buono già mostrato in The Loved Ones e da quell’esperienza si porta dietro la musica metal, un talento visivo non banale, un montaggio sapiente e una narrazione fantasiosa – con un finale efficace e non eccessivo – ma serrata. Il tema è di quelli abusati – la possessione, per di più con al centro una casa del ‘900 – ma è declinata su due personaggi, un pittore e un musicista. Il demonio si insinua nell’arte, nel concepimento delle opere, e vive su una tensione emotiva e narrativa sempre ben calibrata. E’ l’horror migliore dell’ultimo anno per le invenzioni visive (i quadri del protagonista, le inquadrature chiave), per la colonna sonora che richiama il meglio dell’horror anni ’80 (e del metal) e per Kiara Giasco, carisma da vendere. Ne sentiremo parlare.

La cura del benessere

Non godevamo così tanto con un film ambientato in una spa svizzera dai tempi di Youth di Paolo Sorrentino. Gore Verbinski riesce nel miracolo di portare un budget alto nel regno in cui si fa economia anche sul sangue finto: spesso portare i soldi nell’horror non è una buona idea – il genere ama essere naif – ma in questo caso un regista dotato che sembrava in fase calante è invece terribilmente ispirato e partendo dall’elemento naturale da cui è più ossessionato, l’acqua, riesce a stupirci. La missione di recupero del Ceo di una grande azienda diventa, così, con un’inesorabile paura che pervade storia e spettatori, un incubo gotico. Una ragnatela di ossessioni, ben incarnata dalle inquadrature disturbanti di Verbinski, da uno script agile e complesso, da metafore angoscianti. E la durata non è banale, per un horror (quasi 150 minuti). Per la perfezione si poteva migliorare la soundtrack (troppo “argentiana”) e limitare qualche citazione di troppo: oltre ad Argento, troppo smaccate quelle a Kubrick e, soprattutto, Scorsese.

It

Ammettiamolo, eravamo tutti lì, pronti a sparare su chi stava profanando una delle icone della nostra infanzia. Noi della generazione 1000 euro siamo – come ci ricordava nel film omonimo Francesco Mandelli – schiavi del vintage, di una nostalgia canaglia e cannibale. Andrés Muschietti, per fortuna, la paura non sa cos’è. Dopo aver incassato all’esordio 10 volte più di quanto fece spendere con La madre, buon horror di scuola, ha accettato un incarico declinato da Cary Fukunaga (Mr. True Detective). Insomma, due macigni. Lui gira It non per i fans di un tempo ma recuperandone spirito e suggestioni, attualizzandole, per la generazione “Stranger Things” da cui prende parte del cast. Ne esce fuori un’opera meno inquietante e cattiva dell’originale – siamo più dalle parti della Via Pàl – ma solida e piena di ritmo. E sarà fortunato chi vedrà prima questo film e poi l’originale.

Raw

A volte della miopia distributiva italiana non te ne fai una ragione. Raw, che ha la carica sperimentale e immaginifica del capolavoro Martyrs, è una delle sorprese dell’anno: una teenager bullizzata persino dalla perfida sorella, vegetariana, si sottopone a un rito di iniziazione carnivoro. Assaggiati i piaceri della carne non si ferma più, neanche di fronte al cannibalismo. Julia Ducournau ha 35 anni, talento da vendere e un immaginario originale e inquietante. L’horror è anche donna e se ne sono accorti a Cannes, alla Settimana della Critica, ma non in Italia. Niente sala per Raw: solo un uscita home video, peraltro il 23 agosto.

47 metri

Il tipico horror usa e getta. Cioè usa due belle protagoniste e gettale via. Nel terrore. Johannes Roberts è uno di quegli autori che non va per il sottile, di quelli che questo genere lo affrontano con l’accetta. Niente finezze, tre buone intuizioni, l’acqua a creare l’inquietudine dell’infinito e una gabbia a dar claustrofobia. E poi gli squali, perché di pesci infami e sanguinosi è pieno il mare magnum della paura al cinema. Girato bene, montato meglio, semplice al limite della basicità, funziona per il legame tra le sorelle che decidono dopo una serata di bagordi di sfidare l’ignoto con un gioco pericoloso. Far da esca per gli squali, per dire. Funziona tutto: per quelle due personalità archetipiche, per l’angoscia continua di una situazione al limite, per il ritmo che non si allenta mai. E Matthew Modine, qui, non sembra un reperto archeologico. Forse.

Super Dark Times

Meno male che c’è Rotterdam, meno male che c’è Netflix. Nella città olandese c’è uno dei festival cinematografici migliori del mondo e ad esso va riconosciuto il merito di aver capito il valore di questo gioiello. A Netflix va il merito di farvelo vedere. C’è qualcosa che faccia più orrore dell’adolescenza? No, fidatevi. Qui ci troviamo nel bel mezzo di uno di quei legami d’amicizia stretto al limite del morboso che viene sconvolto, spezzato, dalla gelosia, dalla violenza, dalla paranoia. E da un errore fatale, tipico di quegli anni bastardi. Anche qui c’è un bel po’ di Stranger Things, anche qui un’ottima colonna sonora. E l’esordio di Kevin Phillips, a naso, ci ha regalato un regista che continuerà a stupirci.

Auguri per la tua morte

Il giorno della marmotta. Morta. Quest’anno ben due film ci hanno raccontato due ragazze giovani, belle e poco inclini all’altruismo affrontare il loro ultimo giro più volte. Una deve coronare il suo sogno d’amore, l’altra compiere gli anni: entrambe moriranno. Ancora, ancora e ancora. Se Prima di domani però sconta qualche legnosità e un po’ di moralismo, Auguri per la tua morte è spensierato il giusto, ha una protagonista che ti sa tenere sulla poltrona (Jessica Rothe) ed è firmato Blumhouse Productions, factory di geni che ha persino fatto risorgere M. Night Shymalan e ora è all’Oscar con Get Out. Jason Blum è il Roger Corman dei nostri anni, Auguri per la tua morte un divertissement riuscito.

La babysitter

Forse lo abbiamo messo in classifica perché una bambinaia (Samara Weaving) così è il sogno di ogni uomo. Forse perché ci piace pensare che chi è così fortunato da assumerla deve pagare con il sangue. Letteralmente. Forse, semplicemente, quando le idee vecchie riescono a essere messe in moto con i giri giusti, marciano che è una bellezza. Trovate questo filmetto, nell’accezione più nobile del termine, su Netflix e sarà come ve lo aspettate: eccitante for dummies, satanico il giusto, pop in maniera sfacciata. Ma soprattutto la versione horror di Mamma ho perso l’aereo.

Scappa – Get Out

Candidato all’Oscar, è il caso dell’ultima stagione. Ed è anche uno dei film più sopravvalutati degli ultimi anni. Il motivo è semplice: la Blumhouse ha capito che può e deve mettere il sale su una delle ferite più aperte della nostra coscienza collettiva: il politicamente (s)corretto. Qui il razzismo, l’Indovina chi viene per il week-end, viene declinato in una maniera sorprendente ma neanche troppo. Ottime le interpreti femminili, qualche idea (il soggetto, il catalogo di amanti, l’amico sfigato), ma la verità è che si prendono stilemi antichi e immortali del genere e gli si dà una passata di vernice e furbizia. Jordan Peele ha talento e fiuto, sbaglia il finale (ne aveva quattro in testa) ma fa il film giusto al momento giusto. Paracool.

Saw Legacy

Un classico Saw. Il giustiziere moralista, il serial killer che in fondo altri non è che un Dexter più cattivo, alla fine ci sta simpatico. Sarà che Jigsaw ha il pregio di trovare soluzioni letali particolarmente elaborate e riuscite, sarà che alla fine uno così ci farebbe piacere ci fosse, almeno finché non toccasse a noi finire nelle sue grinfie. Questo film comincia a farci sentire tutta la ruggine e gli scricchiolii della saga, ma si riprende con la morte finale, geniale. Certo, il prossimo sequel, se continuano così, sarà la beatificazione in Vaticano di Jigsaw. O magari la sua nomina come prof di un liceo americano, in base a una legge di Trump. O la sua elezione nel parlamento italiano.