"Come un morto ad Acapulco”, guarda in streaming primo film di Pizzicannella | Rolling Stone Italia
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“Come un morto ad Acapulco”, guarda in streaming il corto di Alessio Pizzicannella

Il fotografo che ha immortalato il meglio della musica ora passa dietro la telecamera e dirige Ambra Angiolini in un corto sui cliché

Sara è una scrittrice in cerca di quiete, e soprattutto di fuggire dal suo lavoro di autrice di soap opera. Si trasferisce in un paesino sperduto in montagna per produrre la sua opera originale, ma i personaggi che ha creato la seguono fino a lì, e non vogliono lasciarla in pace. Alessio Pizzicannella è uno dei migliori ritrattisti italiani, e ha avuto davanti alla sua macchina fotografica il meglio della musica italiana e internazionale. Ma per la prima volta ha lasciato il set fotografico per quello cinematografico, e il risultato è il suo primo cortometraggio Come un morto ad Acapulco con Ambra Angiolini e Barbara Bouchet, che potete vedere qui in esclusiva. Abbiamo parlato con il neoregista per farci raccontare come è andato questo cambiamento di rotta.

Come un morto ad Acapulco

Come un morto ad Acapulco

Come ti è venuta l’idea di occuparti di una scrittrice di soap opera?
Nel corto gioco molto coi cliché, e le soap opera ne sono piene. Poi la protagonista è una scrittrice che si isola nei boschi per trovare ispirazione, e anche quello è un cliché. È la storia di una donna che scrive cliché, e finisce per diventarlo lei stessa. Ho letto tutti i manuali di sceneggiatura, e tutti dicevano: non usare cliché, non scrivere di scrittori, non abbattere la quarta parete. E mi sono detto: io le faccio tutte! Ho giocato su questo, con un po’ di irriverenza.
Ho avuto l’idea in un periodo in cui riflettevo sul mio lavoro: la fotografia è un lavoro meraviglioso, ma a volte ti ritrovi a non doverlo fare in delle condizioni limitanti, a doverti adattare per compiacere chi ti commissiona. Così anche la protagonista ha un lavoro le piace, però non scrive di quello che vorrebbe. Ora si chiede a tutti di banalizzare il proprio lavoro per fare in modo che arrivi a più gente possibile, e la scrittrice di soap opera è un simbolo perfetto di questa cosa.

Dicevi prima che facendo il fotografo ti sei trovato spesso a doverti adattare alle richieste invece di avere. È per questo che hai deciso di passare alla regia?
Assolutamente. Da fotografo devo magari scattare la copertina di un disco che ha creato qualcun altro, oppure seguo un attore in promozione, e per quanto possano essere collaborativi i soggetti, io comunque arrivo dopo anni di lavoro su un’opera. Io volevo fare una cosa che partisse da zero da me, ed è andata esattamente così. È stata una droga vedere tutti sul set che facevano quello che dicevo, e non il contrario.

Come è stato il passaggio?
È stato naturale, dirigere gli attori è simile a quello che faccio come fotografo ritrattista. La parte più complicata è stata la scrittura. È nato tutto per gioco: a luglio 2013 mia moglie mi ha trascinato in una vacanza a Sharm el-sheik, di quelle in villaggio in cui non fai nulla, e dopo un’ora mi dovevo trovare qualcosa da fare per non annoiarmi. Ho aperto il computer e ho cominciato a scrivere questa storia. Quando ho finito di scriverla ho chiamato Ambra Angiolini, che l’ha letta, le è piaciuta e mi ha detto di andare avanti. Allora ho studiato da autodidatta, esattamente come ho fatto con la fotografia – senza seguire troppo rigidamente le regole che leggevo sui manuali.

Ambra Angiolini è stata una musa per te?
Sì, è stata la prima persona che ho chiamato. Poi ho coinvolto altri amici, come Cristina Scabbia e Guido Zen per la musica. Mi sono circondato di persone che stimo, e che per mia fortuna sono anche amici, e avevo bisogno di persone fidate per questa avventura.

Anche Barbara Bouchet fa parte della tua compagnia?
Lei non la conoscevo. Quando ho scritto il soggetto avevo pensato solo ad Ambra. Un amico ha letto la sceneggiatura e mi ha detto che la Bouchet sarebbe stata perfetta per il ruolo. L’ho chiamata e sono riuscita a coinvolgerla, è stato fantastico poter lavorare con lei, Ambra e Luciano Virgilio, reduce dal film Oscar La Grande Bellezza… È stato facilissimo, nonostante il budget non ci abbia permesso di fare prove.

Quali sono i pro della regia e quali quelli della fotografia?
Il grande pro della regia è che hai un team di persone che lavorano per te, e gli attori sono completamente a disposizione, mentre quando devo scattare un musicista c’è una forte componente psicologica per cui devo convincerlo a fare la foto. Il fotografo spesso è visto come la rottura di palle necessaria per vendere un prodotto, mentre sul set cinematografico tu chiedi e gli altri fanno. Ma il lavoro su un film dura molto più tempo – ci abbiamo messo circa due anni a passare dalla scrittura del soggetto all’uscita – mentre la fotografia richiede un giorno, a volte un paio di più. Però ho trovato più semplice il lavoro sul set cinematografico, fa la differenza lavorare con persone disponibili.

Di tutti i musicisti e attori che hai fotografato, chi coinvolgeresti in un film?
C’è un musicista con cui vorrei lavorare tantissimo, ma non l’ho mai scattato: Mike Patton. Ho provato a coinvolgerlo per questo corto ma non ce l’abbiamo fatta. Per quel che riguarda gli attori entriamo nel sogno ad occhi aperti, ho lavorato molto con il Festival del Cinema di Locarno quindi ho fotografato mostri sacri… Degli italiani ammiro molto Sergio Castellitto, con lui vorrei lavorare molto.

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