Ecco come abbiamo iniziato a tifare per i potenti | Rolling Stone Italia
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Ecco come abbiamo iniziato a tifare per i potenti

Carlo Freccero racconta per Rolling Stone la sua visione delle serie tv contemporanee. Tra Lannister, Underwood e Notte, tre esempi di televisione e di lotta per la supremazia

Il concetto di potere è diventato l'argomento perfetto per la fiction contemporanea

Il concetto di potere è diventato l'argomento perfetto per la fiction contemporanea

Il concetto di potere si è ribaltato. Il potere rappresenta un ottimo soggetto per la fiction contemporanea. E la fiction, nel metterlo in scena, svela come il nostro immaginario concepisca oggi l’idea di potere. Il protagonista della fiction lotta per accaparrarsi un potere assoluto a livello personale. Se negli anni d’oro della Hollywood impegnata, il potere era male, perché si ritorceva contro la società e la democrazia, nelle nuove serie americane il potere non può che essere buono, perché diventa lotta individuale per la supremazia, un videogioco in cui il più forte deve prevalere. E noi parteggiamo e ci immedesimiamo in quello che, sino a ieri, era il cattivo, il tiranno, l’oscuro agente del male che trama contro il bene comune. In questa postmodernità, che ribalta i valori della modernità, viviamo però la contraddizione di essere governati da costituzioni moderne, che cercano di annullare il potere individuale nella sua azione distruttiva nei confronti del bene comune. Viviamo ancora in costituzioni moderne, garantiste, ma le loro garanzie sono sospese temporaneamente da uno “stato di eccezione permanente”.

Lo stato di eccezione è lo stato di catastrofe o di guerra in cui i diritti sono sospesi: c’è il coprifuoco e non si può liberamente circolare, si può trattenere un sospettato senza processo oltre i tempi consentiti. Alla fine, ritornano i fantasmi della premodernità: la tortura e l’arbitrio dello Stato contro il singolo. Abu Ghraib e Guantánamo.

Il Trono di Spade si muove in una tradizione favolistica, apparentemente innocua. È invece la parabola perfetta del nostro immaginario, che si sposta sempre più nella direzione del fantasy. Vi siete chiesti perché tanti videogiochi sono di ambientazione medievale? È perché il superamento della modernità richiede il ritorno a un’ambientazione in cui tutto è permesso e non esistono regole. Nei videogiochi, i contendenti si fanno letteralmente a pezzi, anche se a livello virtuale. E il Medioevo è l’unico scenario storico in grado di contenere la violenza che la nuova fiction richiede: stupri, macelli, sgozzamenti, decapitazioni, anche scuoiamenti. Come dice Cersei, la regina dei Lannister, “al gioco del trono o si vince o si perde”. E alla vittima si caveranno gli occhi, verrà macellata senza destare pietà o raccapriccio nel pubblico. House of Cards: anche qui abbiamo un protagonista cattivissimo che non arretra di fronte a nulla. Nei telefilm americani classici, il cattivo deve sempre essere punito anche quando, in un primo momento, sembra trionfare. Qui invece, ogni nefandezza viene premiata, anche l’omicidio. È un atto di egocentrismo spietato, che non guarda in faccia nemmeno gli amici e le persone care. E non genera ribrezzo, ma condivisione. Il protagonista schiaccia l’occhio al suo pubblico, guarda in macchina, chiede comprensione. E genera empatia e partecipazione. Lui sta giocando la sua partita anche per noi. E siamo noi a chiedere una progressiva limitazione delle regole, uno stato di eccezione che giustifichi tutto e che vada oltre le regole dei codici morali.

Infine 1992, prodotto italiano, ma forse più interessante di tutti. Il protagonista viene dall’antagonismo. Ha giocato i due ruoli in squadra: è stato contro il potere e ora lo vuole disperatamente conquistare a livello individuale. Anche qui non c’è limite e l’assassinio con cui si libera del ricattatore ha quei toni di brutalità e ferocia che caratterizzano Il Trono di Spade. Una cosa mi colpisce particolarmente, perché coincide alla lettera con la mia esperienza personale. Io venivo da un’area di pensiero antagonista. E, data la mia formazione critica, ho percepito da subito nella rilevazione dell’audience un processo capace di scardinare le nostre precedenti certezze. L’audience funziona come un meccanismo di replicazione e di riproduzione delle scelte della maggioranza. Non segnala le scelte del pubblico a scopi sociologici o conoscitivi. Fa di queste scelte prototipi da reiterare e da mettere in produzione. In breve: abbassa il livello del prototipo, perché il livello più basso e meno definito è quello capace di coagulare insiemi più vasti. L’insieme dei triangoli isosceli è più limitato rispetto a quello dei triangoli in generale.

Ma, soprattutto, sostituisce ai valori universali quali verità, bellezza, moralità, un unico valore: la quantità. La quantità vince su tutto. È il principio chiave del marketing e la maggioranza è il suo profeta. Il protagonista di 1992 non è come me un programmatore televisivo. È l’esperto di marketing che nella serie ha l’intuizione di trasformare l’apparato commerciale di Publitalia nel partito politico di Forza Italia. Converte il politico, che era stata la cifra della nostra generazione, nel privato, che è il modello di oggi. E ci consegna la nuova immagine del potere: il potere come maggioranza.

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone di luglio-agosto.
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