"Se non ti piace il film, non ti piacciono i Peanuts" parla il figlio di Schulz | Rolling Stone Italia
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“Se non ti piace il film, non ti piacciono i Peanuts” parla il figlio di Schulz

Incontriamo Craig Schulz, che ha sceneggiato il film "Snoopy & Friends" – dal 3 marzo in Blu-ray e DVD con contenuti esclusivi e interattivi

“Se non ti piace il film, non ti piacciono i Peanuts” parla il figlio di Schulz

Il film dei Peanuts è stato una questione di famiglia. Vero, Snoopy & Friends ha tutti i crismi di una moderna produzione hollywoodiana, con i marchi 20th Century Fox e Blue Sky Studios in evidenza. Però la famiglia Schulz – che amministra i diritti di personaggi capaci di guadagnare ancora oggi una quarantina di milioni di dollari all’anno, e non avrebbe avuto certo bisogno dei soldi derivanti da un adattamento cinematografico – non si è limitata alla supervisione del progetto: Craig Schulz, figlio del creatore di Snoopy, e Bryan, figlio del primo e nipote del secondo, ne hanno scritto soggetto e sceneggiatura.
«Sai, è una di quelle cose che i padri sognano di fare, anche se magari non lo dicono», spiega Craig. «Una cosa fatta insieme, che tuo figlio si ricorderà per tutta la vita. Me lo immagino a settant’anni, quando ci ripenserà… wow! E non è stato neanche complicato lavorare con lui, come sceneggiatore e come figlio. Poi, chiaro che maneggiando l’opera di suo nonno, di mio padre… nessuno dei due voleva sbagliare. La cosa assurda è che praticamente non abbiamo mai litigato. Ci siamo trovati dalla stessa parte della barricata, investiti della responsabilità di guardiani del brand di famiglia. Ed è successo più spesso, in effetti, che io e Bryan combattessimo insieme per riportare il film sui binari giusti, perché insomma è chiaro che in una grande produzione ci sono un sacco di persone che spingono in diverse direzioni… Abbiamo ascoltato tutti, ma abbiamo sempre avuto l’ultima parola.”

Visto che ormai è passato un po’ di tempo, dal 3 marzo infatti il Film dei Peanuts è disponibile anche in Blu-ray e DVD, forse è più semplice dare un giudizio finale sul progetto. È stato un successo?
Dipende da come definisci il successo. Io ho sentito cose positive in giro, premesso che non sono uno che sta a leggere tutte le critiche e tutti i commenti su internet… dal punto di vista dei dollari, per rimanere sul concreto, non potrei essere più felice. Abbiamo fatto il film che volevamo, con le persone giuste… Credo che se non ti piace il film è perché non ti piacciono i Peanuts, ecco.

Alcuni vecchi fan potrebbero non essere d’accordo, ma è inevitabile. Piuttosto… davvero in famiglia nessuno si è lamentato? I parenti non devono essere un pubblico facile.
Certo, io avevo davvero paura solo della famiglia! Però poi tutti mi hanno detto che il film è come l’avevano immaginato, e in quel momento mi sono sentito sollevato, come poche altre volte nella vita.

E questo nonostante alcune scelte che vanno effettivamente oltre quelle di suo padre. Ad esempio, quella di mostrare il volto della ragazzina dai capelli rossi, sogno romantico di Charlie Brown che nel fumetto non appare mai.
Bè, in quel caso la situazione si è evoluta durante la produzione. Cose che capitano, quando lavori su un progetto per più di tre anni. Dunque, all’inizio pensavamo di farla vedere solo brevemente, di schiena, alla fine del film, che avrebbe avuto una o due battute al massimo. Poi, a mano a mano che la produzione andava avanti, ci siamo resi conto che non avrebbe funzionato. Lei doveva apparire, per svelare a Charlie Brown chi lui fosse veramente. Era l’unica a poterlo fare, perché è la bambina nuova del quartiere, è una che non conosce Charlie Brown. Il suo personaggio contiene il messaggio del film, e cioè che a volte gli altri ci capiscono meglio di noi stessi.

Dunque, questo omaggio cinematografico all’opera di suo padre rimarrà l’ultimo?
Beh, noi fin dall’inizio abbiamo detto alla Fox di voler firmare un contratto per un solo film. Cosa che a Hollywood, di questi tempi, è piuttosto rara.

C’è una certa tendenza alla trilogia, in effetti.
Il fatto è che sviluppare un franchise da zero è un’operazione complessa e costosa, quindi fare più di un film aiuta ad ammortizzare l’investimento iniziale. Noi volevamo solo produrre un bel film dei Peanuts. Poi, vedremo. Se succederà, sicuramente non sarà nel breve termine.

Legge ancora le strisce a fumetti pubblicate sui giornali? Io amo molto Perle ai porci di Stephan Pastis, ad esempio.
Quella l’ho letta anche io per un certo periodo, anche perché Stephan ha collaborato con noi, ma… in realtà no, non ne leggo molte. Non sono un fan.

Cioè, il figlio del più importante cartoonist americano dell’ultimo secolo non ama le strisce a fumetti?
Diciamo che anche quando ero piccolo, sono sempre state poche quelle che apprezzavo davvero. Oltre a quelle di mio padre, mi ricordo le strip di Archie, e poi B.C., che era fantastico… Mi ricordo tutto, il disegno, il lettering… non saprei spiegare il motivo preciso, mi piacevano e basta. Nelle strisce moderne non ritrovo più quel piacere. Sono fatto così.

Quindi è d’accordo con quelli che sostengono che le strisce a fumetti sono in declino.
Non credo sia una questione di declino artistico in senso stretto, ma di cambiamento dei tempi. Capita per tutto, no? Pensa alla televisione: rispetto a un periodo d’oro come gli anni Sessanta, oggi è molto più difficile individuare la novità. Io sullo schermo oggi vedo più o meno sempre le stesse cose: aggressività, linguaggio volgare… Anche l’umorismo spesso ha queste caratteristiche. Al pubblico magari sembra qualcosa di nuovo, diverso e interessante, ma penso che in realtà non lo sia affatto.

Era bello, avere un padre disegnatore?
Il fatto divertente è che quando ero piccolo, negli anni Sessanta, io e i miei fratelli non vedevamo nostro padre come un lavoratore… Lui stava a casa, disegnava. Non sembrava un vero lavoro, come quello degli altri papà.

Invece, lui lavorava eccome.
Quello che ancora mi stupisce è l’atteggiamento che ha sempre tenuto nei confronti della vita. Cioè, era ancora giovane quando si è trovato nella posizione di poter fare tutto quello che voleva, ricco e famoso. Ma è stato sempre un uomo semplice… Non gli interessava particolarmente viaggiare, avere macchine costose o roba del genere. Era felice di stare nel suo studio a disegnare, per tutta la vita. Io personalmente non vorrei fare la stessa cosa per due anni di seguito.

Già. Possibile che non vi abbia mai detto, neanche una volta, che era, magari… un po’ stufo, di disegnare Snoopy?
In realtà, per quanto sembri incredibile, è vero il contrario. Molti dei suoi amici gli dicevano: “Sparky, è ora di andare in pensione, di godersi i soldi”… cose così. Ecco, lui non li capiva. Diceva che chiunque sarebbe stato felice di poter fare quello che più gli piaceva per tutta la vita. A lui piaceva disegnare, e quindi, perché avrebbe dovuto smettere?

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